Freudlab: Dicembre 2005 Archives

11.12.05

Mister, are you a lesbian?

Un frate di un ordine religioso – non si tratta del “Mister” del titolo - era venuto in consultazione, un po’ per ingiunzione dei suoi superiori; disturbava la comunità, era contestatore , era quasi un nuovo “riformista”! Sua Sanità Mentale non era da “revisionare”? Allora si domandava, almeno da dieci anni, dopo aver cambiato città diverse volte ma sempre senza sottomettersi ad un qualche principio d’autorità, se non dovesse cambiare Congregazione poiché gli stava troppo stretta quella a cui apparteneva. Era molto doloroso per lui e il cambiamento sembrava essere un compromesso evidente visto che lui voleva (per il momento…) restare negli Ordini. Quantomeno esitava e nel parlare s’interrogava incessantemente su ciò che avrebbero detto Pierre o Paul, il tale superiore o il tale consigliere del suo Ordine e, un po’ sfinito e per una buona ragione, gli avevo domandato ciò che lui, proprio lui, si augurasse, desiderasse. Il suo viso aveva assunto subito l’espressione del più profondo raccoglimento per dirmi dolcemente, contrariamente alla mia brutalità,
“ma… io farò ciò che mi sarà dato dal Cielo, è dall’Alto, da Lui che mi verrà ciò che sarà bene fare”.

Un frate di un ordine religioso – non si tratta del “Mister” del titolo - era venuto in consultazione, un po’ per ingiunzione dei suoi superiori; disturbava la comunità, era contestatore , era quasi un nuovo “riformista”! Sua Sanità Mentale non era da “revisionare”? Allora si domandava, almeno da dieci anni, dopo aver cambiato città diverse volte ma sempre senza sottomettersi ad un qualche principio d’autorità, se non dovesse cambiare Congregazione poiché gli stava troppo stretta quella a cui apparteneva. Era molto doloroso per lui e il cambiamento sembrava essere un compromesso evidente visto che lui voleva (per il momento…) restare negli Ordini. Quantomeno esitava e nel parlare s’interrogava incessantemente su ciò che avrebbero detto Pierre o Paul, il tale superiore o il tale consigliere del suo Ordine e, un po’ sfinito e per una buona ragione, gli avevo domandato ciò che lui, proprio lui, si augurasse, desiderasse. Il suo viso aveva assunto subito l’espressione del più profondo raccoglimento per dirmi dolcemente, contrariamente alla mia brutalità,
“ma… io farò ciò che mi sarà dato dal Cielo, è dall’Alto, da Lui che mi verrà ciò che sarà bene fare”.
Desiderio di uomo, desiderio di donna! Che dirne? Subito, e molto rapidamente, mi rinfrancai con Lacan e divenni di nuovo efficace (…): “la funzione ivi giocata dalla rivelazione si traduce come denegazione della verità come causa, cioè denega ciò che fonda il soggetto a considerarsi come beneficiario…” […] “il religioso lascia a Dio il compito della causa, ma proprio qui si preclude l’accesso alla verità. Così, è indotto a rimettere a Dio la causa del suo desiderio, il che è propriamente l’oggetto del sacrificio. La sua domanda è sottomessa al desiderio supposto di un Dio che allora bisogna sedurre. Il gioco dell’amore entra per di qui.
In tal modo il religioso installa la verità in uno statuto di colpevolezza. Ne risulta una diffidenza nei confronti del sapere, tanto più sensibile nei Padri della Chiesa quanto più han mostrato di dominare in materia di ragione
”.
Desiderio di uomo, e si può dire, allo stesso modo, e desiderio di donna?
Non risponderò, ma già la questione dell’ingresso e del servire negli Ordini è probabilmente una distinzione, per un uomo, per una donna, che si intende nella referenza a ciò che è il desiderio, in particolare da un punto di vista lacaniano.
Fornisco questo caso essenzialmente perché mi ha interrogato sul fatto che si parla, quando se ne parla, un po’ “alla leggera” del desiderio. In particolare il desiderio è preso come una prova da superare, semplicemente e coraggiosamente, per affermare ciò che ci si augura, ciò che si spera.
Coraggio che forse ha a che vedere col fatto di “cedere, o non cedere…”. In ogni caso è interessante andare a leggere e rileggere ciò che ne dice Lacan, più precisamente, per esempio, nel seminario “ Le desir et son interpretation”
(1958/59) . Quando inizia il suo seminario Lacan distingue il desiderio dal piacere e dal Bene, tema che sarà largamente ripreso nel seminario sull’Etica della psicanalisi. Egli riprende la definizione del Vocabolario di Filosofia
(Lalande), definizione al negativo, di cui ammette il principio, quello di un inafferrabile, ma da cui si smarca per tentare di fornirne tuttavia le coordinate. Così, dice, il desiderio nell’uomo – e nella donna - si impara attraverso le vie traverse del fantasma ( “ il desiderio umano ha la proprietà di essere fissato, adattato, cooptato, non ad un oggetto, ma sempre essenzialmente ad un fantasma”, Lezione 1) Il fantasma è il luogo di referenza da cui il desiderio apprende a situarsi. Allora se il desiderio è legato ad un oggetto-causa, “uomo”, “donna” come significanti sono presi nel fantasma, cioè nella “situazione” dell’oggetto-causa nella sua relazione con un soggetto S barrato. Già di primo acchito si stabilisce la distinzione con l’anatomia che Freud aveva inaugurata e si concepisce bene allora in quest’approccio che si disegna un’altra elaborazione che tiene conto del fantasma cioè di un soggetto diviso dal linguaggio e non di un oggetto; approccio che trova sbocco in Lacan, sbocco “necessario”, nelle formule della sessuazione.
Il fantasma è ciò che inquadra, articola il soggetto all’oggetto nel seno di quest’anarchia della pulsione. Lacan riprende qui la critica della definizione filosofica del desiderio, definizione che lo situa in quanto “non coordinazione delle tendenze” e Lacan evoca dunque qui la pulsione, in quanto anch’essa non opposizione del soggetto e dell’oggetto, a cui viene a rispondere il concetto di fantasma. In effetti questa definizione della filosofia oppone il desiderio alla volontà, o alla volizione, qui definite dalla coordinazione delle tendenze, l’opposizione del soggetto e dell’oggetto, la coscienza della propria efficacia, il pensiero dei mezzi attraverso i quali si realizzerà il fine voluto.
Non si tratta solo di un richiamo storico, di principio ma alla luce dei casi evocati prima e di ciò che possiamo intendere a volte dell’uso dei concetti, che sia quello di ripetizione, o appunto quello di desiderio, la definizione un po’ “positivista” ritorna al galoppo, in ogni caso a detrimento del mantenimento della “realtà dell’inconscio”. Se il desiderio non è la volontà, il che è già un passo, è un augurio, un auspicio?
L’analisi complessa, complessa e completa, che Lacan fa del sogno del padre morto sopravanza questa questione anche se lui le distingue fermamente: ciò che è dal lato di un auspicio è “auspicio articolato”. “Il ‘Wunsch’o non è in se stesso, di per sé, il desiderio, è un desiderio formulato, è un desiderio articolato”. Ed è proprio nell’articolazione stessa del testo del sogno che Lacan situa il desiderio. Soprattutto qui, ma qui come altrove, si rivela attraverso l’interpretazione di Freud. Si tratta di un’interpretazione quasi grammaticale, sulla quale Lacan insiste riprendendo l’elisione delle due clausole cioè gli ultimi membri di una strofa, di un periodo oratorio o di un verso. Se l’esempio riprende la formula troppo celebre, edipica, dell’augurio della morte del padre, l’insistenza rispetto a quest’esempio porta sulla struttura stessa della frase e non su una qualsiasi psicologia dell’augurio, o del desiderio. Al di fuori di ogni placcaggio di una “interpretazione” già del tutto stabilita e di un sedicente “desiderio” in quanto affermazione di sé, quest’esempio, trattato in modo molto dettagliato da Lacan,annoda il desiderio inconscio alla sua interpretazione. Dopo il “non sapeva, il padre, che era già morto”, il secondo il suo desiderio, del sognatore, e “che se lo augurava” restaura un senso, quello del desiderio inconscio: non sapeva, il padre, che fosse qui il desiderio del figlio” con un corollario doloroso “doversi ricordare che dovrebbe augurare a suo padre la morte e come sarebbe spaventoso se lui lo sospettasse”. Il problema non è che questo desiderio possa essere più o meno cosciente, ma, “ se il sogno sottrae ad un testo qualcosa che non è affatto sottratto alla coscienza del soggetto il fenomeno di sottrazione assume un valore positivo”. Vale a dire in questo caso il rapporto con la rimozione. Il desiderio si rivela quindi nel sottrarsi stesso e non essenzialmente nel contenuto del racconto o nella sua struttura.
Questo richiamo ha importanza, non per riprendere le lezioni, cioè fare precisazioni sulla teoria (non è mai inutile), ma forse per articolare quest’ultima con la contemporaneità. Perché?
La rimozione, se porta sul significante, è taglio. In questo seminario Lacan fa appello al grafo e con l’esempio di questo sogno può cominciare a situare il desiderio e la sua interpretazione. Il rapporto dall’una all’altra di queste due linee del processo dell’enunciazione con il processo dell’enunciato è tutta la grammatica! Una grammatica razionale […]; così la rimozione s’introduce […] è legata all’apparizione assolutamente necessaria che il soggetto si cancelli e sparisca al livello del processo dell’enunciazione”. E la grammatica, precisa, mantiene le due linee a distanza, come testimoniano le formule della negazione “io non sappia che lui sia morto, è la paura che lui non sia morto”. Segue un’elaborazione a proposito del “non” forclusivo e del “non” discordativo o ancora ciò che Lacan riprende dalla grammatica, i tassemi.
Ecco. Allora il desiderio è questo scarto. È uno scarto, un intervallo ma non qualsiasi, o piuttosto non “fabbricato” in un modo qualsiasi. È in questa nascita nell’incontro con la domanda dell’Altro, il Che vuoi ? che si effettua il passaggio in questa “commutatività” (in matematica: ciò che costituisce il risultato di un’operazione è identico, quale che sia l’ordine dei fattori, per esempio la commutatività della moltiplicazione) del linguaggio del principio di successione, nella catena significante (si può anche dire della catena significante) al principio di sostituzione; o ancora dice Lacan dall’innocenza all’inconscio; vale a dire che in quest’incontro, che è traumatismo dell’opacità del desiderio dell’Altro, ci sarà questo scollamento, scollamento tra significante e significato. Barra. “L’apparizione del desiderio, la sua origine, si manifesta in quest’intervallo che separa l’articolazione pura e semplice, del linguaggio della parola da ciò che mette in evidenza che il soggetto vi realizza qualcosa di se stesso”.
Durante il seminario d’estate dell’Associazione lacaniana internazionale è stato messo l’accento su quest’aspetto della grammatica così come sulla separazione radicale tra significante e significato. Che ne sarebbe oggi dei rapporti fra le due catene, enunciato/enunciazione? Questa questione per alcuni è un lavoro in corso…!
Il passo successivo è quello della castrazione, la mancanza dell’oggetto è simbolica, l’oggetto della mancanza è diventato immaginario. Perché esso diventi (-phi) bisogna che sia (-) e phi; il meno rinvia al significante e phi al fallo. “Il complesso di castrazione, dice Lacan nel 1958, è il rapporto di un desiderio da una parte con, d’altra parte ciò che chiamerei in quest’occasione una marca”. Si tratta dell’erotizzazione di una marca che porta su un significante particolare, su “un organo che funziona come simbolo” (1971, D’un discours qui ne serait pas du semblant). La marca in quanto incontro, confronto di un desiderio e del significante fa precisare a Lacan: “c’è forse in questo desiderio una beanza che permette a questa marca di prendere la sua incidenza speciale” (1958). Così il fallo mi sembra congiungere l’organo in quanto differenza di sessi, il significante come evanescenza, la marca sia come tratto che come oggetto, emergenza di un desiderio, “confronto” con l’Altro. “Il desiderio è la metonimia dell’essere nel soggetto; il fallo metonimia del soggetto nell’essere” (1958). Se “ il desiderio non ha altro oggetto che il significante del suo riconoscimento, il “fallo significa, nella sua posizione di significante, che è il desiderio del desiderio dell’Altro”.

Una donna di circa quarant’anni ha presentato un’anoressia all’epoca dell’adolescenza, attualmente presenta un alcolismo molto distruttore di cui non può dire niente: del bere non può dire nulla, nel bere lei non c’è, ma al tempo stesso le sue tematiche sono davvero vivaci. In particolare parla spesso dell’atto sessuale con suo marito e dice che quando lui mette la mano su delle parti del suo corpo lei sente questa mano che la giudica, che la misura, che la soppesa… E poi ciò che vuole è l’amore. La sospensione dell’esistenza nell’atto sessuale, che per lei resta, scusatemi, non la rimozione dei corpi ma la pesatura della carne , la sua valutazione (termine molto di moda), la sospensione dell’esistenza lei la trova più opportunamente nell’alcool. Non la “piccola morte” ma la grande. E al di là del desiderio, l’amore, se non la morte nell’eccesso di godimento.

Uno studente inizia un’analisi perché si domanda se è omosessuale; non ha attrazione per gli uomini, ma un interesse per le donne e si tratta piuttosto di una non-scelta, di una messa a parte del sessuale. Ritorna dalle vacanze, ha fatto molti giri e mi dice: “ ho confrontato su Internet le distanze e le ore impiegate da diversi gruppi e da me, mi è venuta quest’idea: ecco il problema, la differenza sessuale non si può valutare!”
Il signore del mio titolo fa parte degli ”A” cioè degli asessuali, o ancora dopo gli etero, gli omo e i bisex, di questa quarta categoria, la “quarta” , dunque “l’identità A”. Nato naturalmente negli Stati Uniti il movimento ha uno slogan molto accattivante: “L’asessualità non concerne solo le amebe” bestiole di cui si conosce il modo di riproduzione (auto divisione cellulare)! Dunque questo Mister (mystère) ha dei comportamenti al tempo stesso da mascalzone ed effeminati, ha frequentato “l’ambiente psy”, ha studiato in Università varie e cerca un impiego, senza alcun dubbio sul proprio valore, da più di tre anni! Con questa stessa certezza bonaria un giorno, sotto una grande giacca di cuoio nero, inalbera una T-shirt dello stesso colore che ha portato da un week end a Londra, con scritta in lettere rosa questa frase “Nobody nows J’am a lesbian”. Molto fiero aggiunge “ meglio quando è portata da un uomo”! Finalmente diceva che amava le donne! Complicando ancora di più il problema mettendosi attraverso le lettere in una posizione femminile. Ma allora era eterosessuale perché, come dice Lacan, una donna omosessuale è etero perché ama l’Altro sesso. Siccome scherzava, il che lo nascondeva ancora di più, io notavo anche che il “nessuno lo sa” si opponeva all’atto di mostrare. Questi giochi di opposizione, di annullamento, di nascondino, evocano in lui, come l’asessualità, il gioco con i significanti. In quest’aspetto ludico c’è un appello divertito al simbolico con quest’illusione della padronanza. Ma questo gioco porta sul sessuato, non è più il cane che fa bau e il gatto che fa miao ma il signore che fa la signora che a sua volta fa eventualmente il signore se non l’opposto.
Mi sono chiesto quale fosse lo statuto di queste negazioni, scherzo incluso! Direi che permette di portare sullo stesso livello opposizioni e contraddizioni e che l’aspetto fallico è preso in questo meccanismo e situa i termini quali che essi siano nel registro dell’equivalenza e della simmetria. In questo montaggio, quale può essere ancora il posto del desiderio?
Jean-Louis Chassaing
Intervento alle Giornate di studio “Desiderio di uomo, desiderio di donna, che dirne?” organizzate il 17 e 18 settembre 2005 a Milano dall'Association lacanienne internationale

Posted by Redazione at 19:42
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